Premessa
Nel 2008, a novant'anni dalla fine della prima guerra mondiale, fu organizzata dai Civici Musei di Storia ed Arte di Trieste una mostra intitolata Trieste Liberata. La cronaca nelle immagini della Fototeca dei Civici Musei di Storia ed Arte, aperta in Sala Umberto Veruda (Palazzo Costanzi) dal 31 ottobre 2008 all'11 gennaio 2009. La mostra era curata da Claudia Morgan con la collaborazione di Adriana Casertano ed Elisa Vecchione, e di Francesco Fait per la consulenza storica .
Nell'occasione venne pubblicato il catalogo delle manifestazioni Trieste 1918. La prima redenzione novant'anni dopo. Cinisello Balsamo ; Trieste : Silvana : Comune di Trieste, 2008. 157 p. : ill. ; 29 cm. in cui compare l'articolo che qui riproponiamo.
Positivi tratti dalla serie di 30 immagini variamente riprodotte nel libro fotografico di Giuseppe Furlani (1888-1857) Trieste redenta 1918-1919, Edizione dell'Istituto fot. Triestino, 1919 (Biblioteca statale isontina di Gorizia, RARI E PR Y.00 00063)
Nell'ordine da sin: Amici e alleati guardano la carta della nuova Italia (n. 16), Un alpino perplesso
dinanzi ai "mussoli" (n. 20), La torre della pescheria (n. 18), Tramonto. Il
monumento a Massimiliano d'Asburgo (n. 9)
Claudia Morgan
in Trieste 1918. La prima redenzione novant'anni dopo. Cinisello Balsamo ; Trieste : Silvana : Comune di Trieste, 2008, p. 54-61 : ill.
La Fototeca conserva un consistente patrimonio di fondi fotografici, firmati dai più rinomati fotografi di fine ‘800 operanti a Trieste, bastino i nomi delle famiglie Wulz, Sebastianutti e Benque, Ceregato, Circovich, Rieger, gli studi Daguerre, artisti che esercitano la nuova professione negli studi situati nel cuore della città, vicino alla sede del Civico museo d’antichità, nome degli attuali Civici musei di storia ed arte .
Nell’elenco di nomi, inedito, compilato da Maurizio Radacich, appassionato studioso e collezionista locale, si contano 144 fotografi o gabinetti fotografici attivi dal diffondersi della fotografia al 1914. Alcuni di questi lavorano appunto per le istituzioni civiche, musei artistici e scientifici che condividono lo stesso palazzo in Piazza Hortis, e contribuiscono ad illustrare le collezioni e gli studi in corso, poiché si è capito che le riproduzioni fotografiche aiutano i confronti, corredano le schede scientifiche, diventano un indispensabile strumento di lavoro.
Nella solita Relazione annuale, che doveva essere presentata all’Inclito Consiglio del Comune, datata 18 gennaio 1907, il direttore del museo, l’archeologo Alberto Puschi, segnala il dono di una serie di belle fotografie da parte dei Fratelli Alinari di Firenze e l’anno successivo dichiara: “Il compianto Giuseppe Caprin [(1843-1904) [1], storico e patriota triestino, giornalista ed infine editore] donando al museo il corredo di fotografie e disegni originali da lui fatti eseguire per le Marine istriane, sino all’anno 1890 erasi fatto promotore di una raccolta, che continuata da lui stesso col materiale delle Lagune di Grado, delle Pianure friulane e di altre pubblicazioni, ed in pari tempo aumentata con molti doni ed acquisti, annovera ora solo di fotografie, 1250 pezzi, ordinate in due classi distinte, di cui l’una abbraccia l’intera Regione Giulia e comprende vedute, monumenti, edifici, opere d’arte e persone; l’altra consiste specialmente di riproduzioni di capolavori dell’arte classica, di monumenti dell’antichità, dell’epoca paleocristiana, della bizantina e della medioevale.
Per questa raccolta nel 1906 si comperarono 118 fotografie di soggetto patrio e 45 speciali dei monumenti di Torcello, e se ne ebbero in dono altre 48 riferentisi tutte alla nostra città. E’ nostra intenzione di aumentarla anche negli anni successivi, così da formare a poco a poco un vero archivio fotografico, che oltre a servire agli scopi particolari del museo, gioverà agli studiosi della storia e dell’arte ed offrirà un prezioso materiale, quando, mutate le tristissime condizioni del presente, potremo tenere nella sede del museo conferenze e lezioni a beneficio della cultura popolare” [Relazione del direttore del Museo civico di storia ed arte in “Verbali del Consiglio della citta' di Trieste. A. 48 (1907). Allegato 3. al resoconto della 18. seduta pubblica del 23 dicembre 1907”, p. 5]
Nel 1908 gli eredi del Caprin, moglie e sorelle, incrementano la donazione di disegni e fotografie cedendo tutto ciò che era servito ad illustrare l’opera Histria Nobilissima.
Fotografie originali della Donazione Caprin pubblicate nel volume Marine istriane, fotografo Giuseppe Franceschinis (1852-1915 ca) da sin. Campiello presso la casa di Giuseppe Tartini Pirano (CMSA F1396), Costumi dei salineri Pirano (CMSA F1397), Il ponte sul mandracchio Pirano (CMSA F1400) e Alfredo Pettener (1862-1943) Le mura Pirano (CMSA F1390)
L’esigenza di avere alle dipendenze del museo un fotografo è quanto mai sentita. Finalmente nel 1908 si indice un concorso per un posto di custode, al quale viene richiesto una professionalità multipla e soprattutto competenza nel campo della fotografia. Tra più candidati si trova il concorrente con tutti i requisiti richiesti dalla direzione, in Pietro Opiglia (1877-1948). Dal dicembre 1908 sino al 1947 Pietro Opiglia sarà il titolare del Gabinetto fotografico dei Civici musei, all’inizio con apparecchiature gentilmente concesse in prestito, come si racconta nelle relazione del 1910 e, grazie alle sue fotografie, l’attività museale dai restauri, allo studio delle collezioni, agli studi e ai saggi dei collaboratori sarà corredata anche da una degna documentazione fotografica.
Ma non basta.
L’attenzione del direttore e del suo collaboratore è anche rivolta all’esterno, alla città che sta cambiando, alle demolizioni di fabbricati del centro cittadino, agli scavi archeologici che portano alla luce, proprio in quegli anni, le opere romane nello spazio urbano di Città Vecchia e lungo le pendici del Colle di San Giusto. Si ricorda in particolare lo sgombero delle lapidi del cimitero evangelico e di quello ebraico di Montuzza, queste ultime oggetto delle trascrizioni da parte del curatore del museo, Pietro Sticotti, in quanto destinate alla distruzione: nulla sfuggiva all’occhio attento del direttore del museo e della macchina fotografica del suo aiutante, pienamente consapevoli di svolgere un ruolo importante e specifico. Le immagini fotografiche, pur mantenendo intatta l’atmosfera crepuscolare dei luoghi nel loro fatiscente abbandono, diventano in questo caso un prezioso documento.
Alle lastre prodotte dal Gabinetto fotografico si affiancano nel tempo le raccolte e gli archivi fotografici donati o acquistati sia singolarmente sia perché legati a collezioni più specificatamente museali, talvolta il dono è di un solo positivo, che per le annotazioni, la firma, l’evento rappresentato diventa un unicum e in quanto tale rarissimo.
Francesco Benque (1841-1921) Alberto Puschi, ante 1902 (Inv. CMSA F17791)
Fotografo non identificato Piero Sticotti, 1935 ca (Inv. CMSA F37699)
Giuseppe Franceschinis (1852-1915 ca) Giuseppe Caprin, 1910 ca (Inv. CMT F693)
Pubblicità dello studio Comptoir Général de Photographie attivo all'inizio dell'Acquedotto che presenta un modello della macchina fotografica prodotta dalla rinomata ditta Thorton Pickard in Guida generale per Trieste, il goriziano, l'Istria, Fiume e la Dalmazia 1899, frontespizio [foto dell'Autore del testo]
La Royal Ruby acquistata per la Fototeca in esposizione con parte del corredo, (foto di M. Masau Dan scattata durante l'allestimento)
Nel 1912 scopriamo tra le carte d’archivio la richiesta d’esenzione dal dazio per un magnifica “camera fotografica, la Royal Ruby, senza obiettivo, gr[andezza] 13x18, cinque doppi chassis, tre tavolette supplementari, un piedistallo col relativo sacco a fodera di tela e pelle” da acquistare direttamente presso la Thornton-Pickard company ad Altrincham in Inghilterra. Nel carteggio il direttore è costretto a specificare l’uso per cui sarà impiegata: il programma è chiaro, si devono continuare le campagne di assunzioni dei monumenti, rovine, strade nel territorio di Trieste, Istria, Gorizia per completare la carta topografica archeologica di questa regione, “per rilevare le scoperte di antichità in seguito a scavi eseguiti dal museo stesso, per prendere copia di chiese, edifici ed altre case notevoli…, per riprodurre gli oggetti delle collezioni del museo stesso che per la loro mole o posizione non possono fotografarsi che mediante apparati speciali”.
Continue e sollecite di anno in anno si susseguono le puntigliose e noiose elencazioni dei siti visitati, delle ricognizioni operate, della documentazione prodotta.
La prima guerra mondiale scoppia proprio quando curatorio e direzione si stanno occupando della nuova sede di Villa Basevi che ospita il Museo di Storia Patria, nella seduta del 10 agosto 1914, il direttore annuncia la chiusura del museo al pubblico, la chiamata alle armi del fotografo Pietro Opiglia e di altri custodi, la restrizione economica, l’aiuto che studiosi volonterosi, come Marino de Szombathely professore del Ginnasio comunale superiore, vogliono offrire al museo per aiutare in così grave frangente. Sono anni in cui solo l’attività interna prosegue, i finanziamenti sono all’osso, si dibatte sulla nuova sede da destinare alle collezioni archeologiche e artistiche.
Alberto Puschi, scrive, perora diverse e migliori soluzioni, rifiuta edifici che reputa non adatti a contenere un museo. Nella posizione di funzionario di un'istituzione civica può solo dimostrarsi preoccupato per il patrimonio a lui affidato. Il giudizio degli storici lo colloca tra gli esponenti dell'irredentismo moderato, come attestano la sua apertura alla realtà culturale italiana, i suoi rapporti di amicizia con uomini come Filippo Zamboni ed Eugenio Popovich, patrioti e garibaldini, la sua attività e presidenza della Società alpina delle Giulie, che contribuisce allo sviluppo del culto nazionale.
Nel giugno del 1919 Puschi lascia la direzione al suo collaboratore Piero Sticotti. Trascorse le giornate memorabili e i festeggiamenti della Liberazione, si ritorna alla quotidianità. In piazza Unità d'Italia il 3 novembre 1919 tra la folla e tra i vari fotografi ritroviamo anche Pietro Opiglia, restituito sano e salvo alla sua attività.
Le microcollezioni familiari, le testimonianze del passaggio dall’Austria Ungheria all’Italia che gelosamente si sono conservate, - cartoline, foto amatoriali, foto dei reporter ufficiali dell’esercito -, iniziano ad arrivare in dono alla fototeca. Si definisce il suo ruolo di catalizzatore delle memorie patrie, e in generale già si preannuncia l’idea di un museo sul Risorgimento, infatti il 21 novembre 1918 appare su La Nazione, giornale locale diretto da Silvio Benco e Giulio Cesari, l'avviso a tutti i dilettanti di fotografia di inviare le loro foto al Museo Civico di storia ed arte per il “costituendo Museo del Risorgimento”.
La sola nota critica a questa stagione pionieristica va alle decisioni riguardanti l'ordinamento e la conservazione del materiale fotografico, all'inadeguatezza degli strumenti creati per la ricerca e l'indicizzazione. Non vi è traccia o accenno al problema.
L'attenzione è tutta rivolta ai positivi su carta che facilmente permettono di individuare il soggetto riprodotto e che vengono custoditi in cassetti; le lastre in vetro, ottenuti i positivi, perdono la loro primaria importanza, protette da semplici buste di carta archiviate in inadatti contenitori, sono soggette a pericolose sollecitazioni e rotture.
I documenti della Fototeca vengono classificati per argomenti, suddivisi in numerose sezioni distinte da un numero progressivo. Si predilige la collocazione geografica e naturalmente la sezione più importante è quella su Trieste, che si articola in tante sottosezioni (Trieste vedute, vie e piazze, monumenti ed edifici pubblici, etc.).
Manca completamente il vincolo archivistico traducibile in questo campo nella ricostruzione della volontà dell'operatore, il fotografo, che crea la sua opera, il servizio, in un determinato giorno con una serie di scatti.
Non avendo compreso la fondamentale funzione del catalogo per autori e per soggetti - ma la giustificazione sta tutta nei numeri che nel campo della fotografia crescono con una progressione esponenziale della quantità, visto lo slancio innovativo del nuovo mezzo di riproduzione e la nuova arte – la soluzione adottata è alquanto complessa. Individuata la sezione in cui vengono inseriti i documenti,senza una precisa collocazione e con un apparato di indici alquanto carente, la risposta alle richieste è alquanto fortunosa.
[1] Giuseppe Caprin (1843-1904), storico e patriota triestino. Caprin studia all'Accademia di Commercio per avvicinarsi in un secondo tempo al giornalismo, a cui decide di dedicare la sua carriera; infatti fonda diverse riviste e giornali tra cui Il Pulcinella e L'Indipendente, legando il suo nome come editore a testi fondamentali per la storia cittadina, quali I nostri nonni, Tempi andati, Trecento a Trieste e Istria nobilissima. Nel 1868 ottiene il decreto per aprire una tipografia, sistemata prima nell'attuale Via Genova, in società con il piranese Bartolomeo Apollonio, trasferita in seguito nella Casa Brunner in Piazza Ponterosso e poi in Palazzo Carciotti. Con la costruzione del palazzo in Via Caprin viene aperto lo Stabilimento Artistico Tipografico Giuseppe Caprin negli ambienti del pianoterra. Lo storico triestino deve la fama anche alla sua cospicua collezione d'arte, costituita da dipinti, arazzi e varie tipologie di oggetti. Alla sua morte quasi tutto l'arredamento del palazzo viene trasferito in una sala del Castello di San Giusto, mentre la tipografia chiude nel 1931.
La partecipazione alle celebrazioni del 1918 con una mostra fotografica organizzata solo con il materiale tratto della Fototeca dei Civici Musei di Storia ed Arte ha permesso di mettere in luce la preziosità di quanto conservato, di dare, in occasione di un evento importante, visibilità a una collezione di positivi che è già stata ampiamente conosciuta e “usata” nelle ricerche di studiosi locali.
Lo staff formato da personale interno ed esterno è coinvolto in una fase di intenso riordino e di analisi delle raccolte: l'obiettivo è quello di ricostruire, grazie a ricerche accurate, difficili, anche laboriose, i nuclei originari dei singoli fotografi e ripristinare i nessi archivistici – dove è possibile – focalizzando l'attività degli autori o la consistenza delle donazioni, in mancanza di altri elementi. La singola fotografia, intesa come documento, non va “bruciata” per uno scopo puramente didascalico nell'interpretare i fatti accaduti, estrapolata dal suo contesto, ma deve mantenere la sua peculiarità di bene culturale, di oggetto artistico pur non rescindendo il vincolo che la unisce al servizio.
Dal 2005 si è avviato il progetto Fototeca che affronta tutti gli aspetti della corretta conservazione e della catalogazione, grazie al sostegno finanziario della Fondazione CRTrieste e all'attenzione del direttore dell'Area Cultura e Civici Musei di Storia ed Arte, Adriano Dugulin. Un gruppo formato da quattro catalogatori esperti, due tecnici e due fotografi e dai volontari dell'associazione Cittaviva, coordinato dal bibliotecario, Claudia Morgan, riordina nel rispetto dei criteri archivistici, pulisce, condiziona, applica gli inventari, descrive, indicizza e produce le scansioni non solo del nucleo originario, ricco di documenti storici, fondativo della Fototeca, ma anche degli archivi delle agenzie fotografiche acquisite nel tempo: Giornalfoto (dal 1950 al 1989), De Rota (dal 1946 al 1992), Foto Omnia di Ugo Borsatti (dal 1952 al 1994), Fotoviva di Vinicio Vallon (dal 1970 al 2004) e il Fondo USIS (United States Information Service (dal 1939 al 1951); quest’ultimo, particolarmente interessante, è il risultato dell'iniziativa intrapresa a Trieste nell'immediato dopoguerra dall'amministrazione americana, che aveva creato una sala di lettura con un'intensa attività di propaganda svolta attraverso le mostre fotografiche.
Contemporaneamente, secondo la tradizione, il laboratorio fotografico interno ai Civici Musei continua a produrre le fotografie istituzionali, con le più moderne tecnologie, che corredano l'attività editoriale, le ricerche scientifiche, le manifestazioni culturali, gli eventi a cui la direzione partecipa.
Il risultato di tutti questi sforzi è consultabile nel catalogo integrato dei beni culturali del Comune di Trieste, visibile in internet all'indirizzo http://biblioteche.comune.trieste.it
Il deposito dell'archivio Giornalfoto in Fototeca prima del progetto che ha completamente riorganizzato gli spazi, tenendo conto delle condizioni ottimali per la conservazione e dell'importanza dei contenitori adatti ai documenti. Le prime fasi dei lavori di condizionamento nel nuovo deposito [foto dell'Autore del testo].
Il 5 novembre 1918 leggiamo su La nazione “i dilettanti fotografi che in queste storiche giornate della nostra liberazione dall’umiliante padronanza straniera, avessero raccolte fotografie di qualche importanza, faranno bene a mandarle al prof. Polacco (S. Antonio 1) per la loro pubblicazione nei periodici illustrati della Penisola” (p. 3).
L’annuncio è un’iniziativa di Arnaldo Polacco, animatore e forse fondatore dell’Istituto fotografico triestino, che è tra i primi a comprendere l’importanza delle testimonianze fotografiche degli eventi in corso - è suo il servizio del 3 novembre dell’arrivo dell’Audace e dell’offerta della bandiera a San Giusto – ed è tra i primi a donarle ai Civici Musei di Storia ed Arte, il 26 novembre 1919. Infatti sullo stesso quotidiano il 21 novembre appare un trafiletto Memorie dei giorni del riscatto che invita i dilettanti di fotografia, numerosi a Trieste, di “pensare anche al costituendo Museo del Risorgimento”, consegnando il materiale prodotto al Museo civico di storia ed arte (p. 2).
Arnaldo Polacco, insegnante presso il Liceo Francesco Petrarca, conosce e si accompagna ad altri fotografi, quali Giuseppe Furlani, professore presso l’Istituto magistrale "G. Carducci", che donerà i suoi scatti, stampati con tanta cura il 10 agosto 1919.
All’appello rispondono numerosi.
Nello stesso giorno anche i Fratelli Avanzo, ottici fotografi, affidano all’archivio fotografico dei musei il loro servizio, commentato in modo originale.
Il fotografo Umberto Kunad dona le sue fotografie “con scene della nostra redenzione”, il 30 agosto del 1910. Giuseppe Padovan immortalati gli eventi del 17 gennaio 1919, consegnerà il suo servizio “di Trieste redenta”, il 27 settembre del 1919, continuando la gara di generosità promossa con tanto slancio. Lo stesso farà il fotografo Carlo Braulin che fissa con uno scatto la folla stipata in Piazza Unità d’Italia il 20 marzo 1921 per la cerimonia dell’annessione della Venezia Giulia allo stato italiano. Il suo positivo è archiviato 31 agosto 1923.
Tutte le donazioni sono regolarmente registrate nel Libro doni del museo, redatto dallo stesso direttore Piero Sticotti, con le annotazioni citate.
L’elenco continua.
Alcuni nomi sono ancora legati ad eventi celebrativi: l’Unione magistrale triestina affida al museo le immagini dei partecipanti al congresso dei maestri d’Italia, tenutosi a Trieste il 13 settembre 1919 (dono 11 dicembre 1925).
Altri nomi di donatori li elenchiamo semplicemente, volendo ringraziarli in questo semplice modo:
Antonio Alisi 1920.08.14
Maria Artico 1923.06.15
Carlo Banelli 1925.03.30
Arduino Berlam 1928.03.05
Alberto Catalan 1930.11.03
Carlo Costantini 1924.06.23
Eugenio Ferluga 1965.09.14
Antonio Fornasari 1921.11.22
Gualtiero Godina 1927.05.09
Cap. Granade 1935.11.13
Lina Gasparini 1933.03.16
Vincenzo Greco 1950.11.19
Rodolfo Lantschner 1927.07.24
Giovanni Laurenti 1934.10.25
G. Martinolli 1934.12.20
Carmelo Palermo 1952.11.13
Eugenio Popovich 1931.02.02
Ugo Quarantotto 1957.01.12
Carlo Ravasini 1934.11.03
Carlo Schmidl 1931.07.14
Piero Sticotti 1930.09.01
Marino Szombathely 1931.12.10
Elvira Treves 1923.07.02
Ario Tribel 1934.03.25
Bianca Ziliotto 1922.04.19