Lo sviluppo del museo revoltella nel periodo austriaco (*)

Maria Masau Dan

 

Sogni di grandezza alla vigilia della guerra

Anche nella seduta del 4 maggio 1914, il conte Francesco Sordina, di fronte alla proposta di visitare la Biennale di Venezia per fare degli acquisti, raccomandò vivamente ai colleghi del Curatorio del Museo Revoltella "di riflettere d'ora in poi a sole opere di grande importanza artistica, impegnando magari le rendite dell'anno successivo pur di acquistare quadri di sommi autori, e di non acquistare dei quadretti che non portano lustro alla collezione." Non era un discorso nuovo: nel 1912, in circostanze analoghe, Sordina aveva espresso l'auspicio che il Curatorio facesse gli acquisti anche all'estero, rilevando ad esempio la mancanza, nel museo, di autori di fama mondiale come Rodin. Ma il presidente, l'avvocato Aristide Costellos, gli aveva replicato che l'esposizione di Venezia era di per sé "un mercato internazionale" e dava "l'occasione di procurarsi anche là opere di artisti esteri di fama mondiale come lo Zorn, Stuck, ecc. ecc." D'altra parte, la situazione finanziaria del museo non era tale da consentire di uscire "dal consueto uso" per fare acquisti più impegnativi. Più o meno la stessa risposta venne data a Sordina anche nell'estate del '14, ma il presidente, questa volta, colse l'occasione per trattare la questione meno sbrigativamente e per fare una valutazione oggettiva del patrimonio acquisito, difendendo i criteri seguiti in passato per la scelta delle opere. 

 

Bilancio di quarant'anni di acquisti

F. von Stuck, Scherzo, 1907
F. von Stuck, Scherzo, 1907

Fin dalla fondazione (1) il Curatorio del museo (2) si era sempre adoperato per reperire opere di autentico valore artistico, ma molte volte - ricordò Costellos - ci si era trovati ad acquistare anche quadri piccoli, ad esempio Michetti, Pasini, Barbudo e altri, che, del resto, "portavano impressa viva l'espressione artistica di questi grandi maestri"; altre volte poi si era dovuto "declinare l'acquisto di grandi tele tanto per questione finanziaria quanto per difetto di spazio". E, ciò nonostante, concludeva il Presidente: "il nostro museo è ora provvisto di opere di somma importanza artistica come Zuloaga, Mancini, Stuck, Zorn, ecc., tanto che la galleria nostra è da tutti lodata."

Questo confronto di posizioni, affiorato in modo così chiaro in quell'estate del '14 destinata fatalmente a chiudere un'epoca, restituisce sinteticamente il senso dei primi quarant'anni di storia del Museo Revoltella passati in una continua alternanza di "scelte politiche", ora proiettate in una dimensione internazionale, ora rivolte all'ambito provinciale italiano, e non di rado circoscritte alle mura cittadine.

Troppo immerso nella vita della società locale per mantenere quell'indipendenza che spesso inutilmente rivendicava, il Curatorio del museo fin dall'inizio si era preoccupato essenzialmente di amministrare con oculatezza il patrimonio e di non prendere decisioni rischiose. Fu assicurata così per quasi mezzo secolo la completa autosufficienza dell'istituto per quanto riguardava gli acquisti di opere d'arte, che si erano basati solo sulla rendita del capitale ereditato dal barone (e su altri lasciti giunti in seguito). Ma l'autonomia finanziaria non aveva garantito una totale libertà d'azione a questo organismo, costretto spesso a tenere conto di esigenze estranee ai fini istituzionali, che andavano dall'opportunità di accettare donazioni di poco conto, all'obbligo morale di svolgere opera di sostegno finanziario agli artisti locali.  Questo spiega l'eterogeneità e il dislivello qualitativo delle opere, non diversamente, in fondo, da quanto è riscontrabile in tutti i musei collegati strettamente a una precisa realtà sociale.

Del resto, definendolo semplicemente un "istituto di belle arti", Revoltella aveva lasciato nel vago la funzione che avrebbe dovuto svolgere il museo: si poteva intendere, infatti, solo come fruibilità pubblica della raccolta, ma anche come luogo di valorizzazione della produzione artistica cittadina. 

Comunque, la prescrizione relativa all'investimento del capitale in opere d'arte fu sempre scrupolosamente seguita e, di anno in anno, il Curatorio impiegò per acquisti l'intera rendita della fondazione, che oscillava tra i dieci e i ventimila fiorini (approssimativamente, tra le venti e le quarantamila lire). Il numero medio annuo di acquisti, tra l'anno della fondazione (1872) e la vigilia della guerra, fu di quattro-cinque pezzi, in prevalenza dipinti, mentre le donazioni furono in numero largamente inferiore. Nel 1914 il Museo Revoltella aveva aggiunto alla raccolta del fondatore circa duecento nuovi oggetti.

 

Il secondo museo italiano d'arte moderna

T. Agujari, Ritratto di Pasquale Revoltella, 1861
T. Agujari, Ritratto di Pasquale Revoltella, 1861

Si trattava senza dubbio di un caso piuttosto singolare. Nato con una duplice identità, di dimora storica e galleria d'arte moderna (prescindendo dalle barriere statali allora esistenti, fu il secondo museo italiano d'arte moderna, preceduto solo dal Museo Civico di Torino, istituito con l'unità d'Italia), il Museo Revoltella era destinato a ricoprire un ruolo culturale importante, specialmente perché s'inseriva in una città pressoché priva di tradizioni d'arte, ma ben fornita di capitali.  Chi gestiva il museo era obbligato a misurarsi con la produzione artistica contemporanea, alla quale, però, la città non dava un contributo significativo, e nel contempo doveva tenere conto di un'eredità non facile, quel "taglio" europeo che Pasquale Revoltella, abile e spregiudicato finanziere con interessi sparsi in ogni dove, vicepresidente della Compagnia del Canale di Suez e barone dell'Impero, aveva saputo dare alla sua vita, divisa tra Trieste, Vienna e Parigi e confortata da ogni lusso e comodità.(3)

Non era veramente all'altezza del compito, o lo fu solo per l'aspetto più propriamente amministrativo, il primo presidente del Curatorio, il barone Giovanni Battista de Scrinzi, vecchio amico di Revoltella e suo esecutore testamentario, che mantenne la carica dalla fondazione al 1885, affiancato da un gruppetto di altri gentiluomini e dal pittore accademico Augusto Tominz nel ruolo di conservatore (4). In quegli anni il museo fu praticamente "occupato" dalla Società di Belle Arti, che organizzava esposizioni annuali di pittori triestini e stranieri, alle quali il museo inevitabilmente attinse per i primi acquisti. Non tutti i membri del Curatorio, però, condividevano questo indirizzo: di fronte all'Interno del Duomo di Milano di Luigi Bisi e alla Campagna romana di Achille Vertunni, i due primi dipinti acquistati, dopo un lungo travaglio, all'esposizione annuale del 1874, qualcuno obiettò che sarebbe stato opportuno scegliere "quadri più eminenti per l'acquisto di un museo". In qualche modo, però, nei primi anni, entrarono nella collezione anche opere di maggior pregio: nel 1872 era stato acquistato da un privato il busto in marmo di Felice Baciocchi, di Lorenzo Bartolini, e alla fine del '74,  dal mercante Giuseppe Schollian, l'olio Animali all'abbeveratoio di Filippo Palizzi, malgrado uno dei membri del Curatorio avesse definito "un difetto disgustoso quella massa di teste di bovi senza corpo che sta a sinistra del quadro".

 

Viaggio in Italia alla ricerca di opere d'arte

Augusto Tominz, Autoritratto
Augusto Tominz, Autoritratto

Nel 1877, cinque anni dopo la fondazione, il patrimonio del museo era aumentato di una quindicina di pezzi, per lo più scene di genere e paesaggi, ma anche sculture (5), con un apporto, tuttavia, decisamente modesto.  Si comprese che il mercato locale e le mostre annuali erano del tutto insufficienti a soddisfare le esigenze del museo, per cui nello stesso anno si inviò il conservatore nelle maggiori città italiane per prendere contatti con artisti e mercanti. Fu il primo di una lunga serie di viaggi alla ricerca di opere d'arte nelle maggiori esposizioni nazionali e internazionali che avrebbero visto impegnate in seguito, e sempre più spesso, anche delegazioni del Curatorio. Augusto Tominz, dunque, si recò a Roma, ma non concluse alcuna trattativa, poi andò a Milano, dove si interessò ad Hayez, senza riuscire a fare, però, nessun acquisto. Qualche risultato del suo viaggio lo si vide nell'esposizione autunnale della Società di Belle Arti (di cui era segretario) dove comparve una nutrita schiera di artisti romani, dei quali vennero acquistate dal museo diverse opere (6). Anche queste ultime scelte lasciarono del tutto insoddisfatta una parte del Curatorio (7), tanto che si decise "di non procedere ad acquisti di qualche entità, se non nel caso, che si offrisse occasione propizia di accrescere la raccolta del museo con qualche dipinto di distintissimo merito e possibilmente di soggetto storico".

 

Precedenza ai quadri di storia

G. Muzzioli, L'offerta nuziale, 1884
G. Muzzioli, L'offerta nuziale, 1884

A questo scopo nel 1880 il conservatore venne mandato all'Esposizione Nazionale di Torino, dove diligentemente prese nota di tutti i soggetti storici esposti, ma sfortunatamente fermò la sua attenzione su opere già vendute o non in vendita (8).  Ancor meno proficuo sarà il successivo viaggio a Milano, all'Esposizione del 1881, dove la pittura di storia aveva ceduto spazio ai quadri di genere ed egli vide restringersi la rosa delle candidature alle opere di Pattini, Bouvier, Ussi, Mariani e pochi altri, che il Curatorio non prese in considerazione.

Seguirono due anni senza eventi di rilievo, ma nel 1883, grazie anche a una maggiore disponibilità finanziaria, l'interesse per i grandi eventi espositivi si riaccese in vista dell'attesa Esposizione internazionale di Roma.  Il progettato viaggio non avvenne, però, perché Augusto Tominz, dopo una breve malattia, morì il 17 giugno.

Venne immediatamente sostituito dal figlio Alfredo, non ancora trentenne, pittore egli stesso,  che da quel momento avrebbe iniziato la sua lunga carriera di conservatore del museo (9). Questi ereditò anche il compito di visitare le grandi esposizioni nazionali alla ricerca di quadri significativi e nel maggio 1884 poté fare i primi acquisti all'Esposizione di Torino, puntando la sua attenzione su tre autori allora piuttosto noti e su opere che bene rappresentavano la fase di trasformazione del quadro storico in scena di genere: L'offerta nuziale di Giovanni Muzzioli, La visita allo zio cardinale di Raffaele Armenise e Prime note di Salvatore Marchesi.

Nell'inverno tra il 1884 e il 1885 la scomparsa quasi contemporanea di tre membri influenti del Curatorio (il presidente a vita, de Scrinzi, il vicepresidente, barone Carlo de Rittmeyer e il pittore Giuseppe Gatteri), segnò la fine di un'epoca, caratterizzata sostanzialmente dalla presenza degli eredi morali di Revoltella e da un indirizzo sostanzialmente conservatore. D'ora in poi nella gestione del museo si rifletteranno in modo sempre più incisivo le vicende politiche della città e gli eventi artistici locali, che dal 1884 ruotavano attorno al neocostituito Circolo Artistico Triestino.

Il governo del museo al presidente delle Assicurazioni Generali

Il barone Giuseppe de Morpurgo
Il barone Giuseppe de Morpurgo

Il nuovo presidente, il barone Giuseppe de Morpurgo, autorevole rappresentante del mondo finanziario triestino, sebbene anziano, diede un impulso notevole fin dall'inizio allo sviluppo dell'istituzione, di cui rimase presidente anch'egli per tredici anni, fino alla morte, avvenuta nel 1898.  Continuò con la sua gestione la ricerca di opere di autori di fama nazionale, ed in particolare di soggetto storico, proposito su cui si insisteva ad ogni riunione del Curatorio in cui si cercasse di stabilire un criterio generale per gli acquisti. Perdurava anche un particolare interesse per la scuola spagnola, forse originato dall'influenza esercitata dalla pittura di Fortuny  su due pittori triestini che avevano soggiornato a Roma negli anni settanta, Eugenio Scomparini e Antonio Lonza (10). La limitatezza delle risorse finanziarie in un momento di espansione del mercato artistico costituiva il maggiore ostacolo alle ambizioni del Curatorio, che in molti casi dovette rinunciare ad acquisti importanti o ripiegare su opere minori, tanto più che specialmente durante la presidenza Morpurgo fu perseguito, poco realisticamente, ma con convinzione, lo scopo di dare al museo un carattere internazionale.  E' a questo che si devono alcuni acquisti molto ambiziosi ma ben poco rappresentativi come le grandi tele di Geoffroy (Gli affamati) e di Carpentier (Madame Roland a S.te Pelagie) esposte al Salon di Parigi e arrivate a Trieste nell'autunno 1886 su suggerimento del pittore triestino Rota, che dimorava a Parigi.

È probabile che, in mancanza di referenti veramente competenti e autorevoli, nelle scelte fosse determinante il gusto personale dei membri del Curatorio, tanto che già all'inizio di quell’anno Alfredo Tominz aveva chiesto espressamente "di non fare altri acquisti senza sottoporli alla consulta artistica".

Se avessero prevalso le opinioni personali di alcuni curatori, infatti, difficilmente sarebbe entrato in museo uno dei pezzi più interessanti della collezione, La preghiera di Maometto di Domenico Morelli, acquistata direttamente dall'artista, dopo non poche difficoltà di contatto, nel 1887.  Per qualcuno, infatti, l'opera aveva un carattere di "piuttosto di abbozzo che di quadro finito" e fu accettata solo dopo una lunga discussione chiusa dall'affermazione che si trattava di "un artista troppo rispettabile e geloso del suo buon nome per esporre in un museo un'opera non degna di lui."

 

Tra Venezia e Monaco

L. Nono, Ave Maria, 1892
L. Nono, Ave Maria, 1892

L'anno 1887 segnò una svolta nella vita del Museo Revoltella, che dopo quindici anni di attività e una quarantina di pezzi aggiunti alla collezione del barone aveva conquistato una fisionomia museale già in qualche misura identificabile (11). Si pose per la prima volta il problema dell'insufficienza di spazio espositivo, risolto per il momento con la pannellatura delle sale del palazzo più ricche di decorazioni. La partecipazione all'Esposizione Nazionale di Venezia, inoltre, col prestito del Morelli, contribuì a fare conoscere il museo fuori dall'ambito cittadino e a conferirgli un certo prestigio agli occhi degli artisti. Fu anche l'inizio di un nuovo interesse per la pittura veneziana contemporanea, che si ammanterà di motivi sentimentali con la morte improvvisa di Favretto, del quale immediatamente fu acquistato l'olio Una dichiarazione, ma sarà confermato dall'ingresso in museo, nel giro di pochi anni, di opere di Cesare Laurenti, Angelo Dall'Oca Bianca, Bartolomeo Bezzi, Guglielmo Ciardi, Luigi Nono, Pietro Fragiacomo, tutti artisti che nell'ultimi decenni del secolo operavano a Venezia.

Salvo qualche eccezione, rappresentata da un enorme scena di battaglia intitolata En avant!En avant! del francese Moreau de Tour e acquistata al Salon di Parigi nel 1889 (ma ancora una volta il Curatorio aveva pregato il suo delegato di cercare un'opera della scuola spagnola) e il gruppo in gesso Belisario di Urbano Nono, arrivato nello stesso anno, alla fine degli anni ottanta venne a cadere l'obiettivo perseguito per tanti anni di entrare in possesso di opere di carattere storico.  La frequentazione piuttosto assidua delle grandi esposizioni nazionali aveva portato a seguire inevitabilmente il maturare di tendenze "più moderne" e fece largo al paesaggio "en plein air" e alle tematiche sociali.

Malauguratamente non tutti i membri del Curatorio erano in grado di captare le autentiche novità. Così accadde che ci si lasciò sfuggire un olio di Segantini, L'aratro in Engadina esposto nella prima grande mostra organizzata a Trieste, nel 1890, dal Circolo Artistico, che il conservatore aveva giudicato "adatta al museo" ma non fu apprezzata affatto dagli altri.

L'ultima trasferta importante ad un'esposizione internazionale prima della fondazione della Biennale, avvenne a Monaco nel 1892, dove la delegazione formata dal conservatore e da quattro membri del Curatorio, acquistò la Marina del Bohme, Dopo la prima Comunione di Smith e Il mattino alla Giudecca di Guglielmo Ciardi, ma si interessò anche all'Ave Maria di Luigi Nono che venne acquistata poco dopo grazie anche alle agevolazioni concesse dall'autore.

Il gruppetto di opere riassume efficacemente le diverse anime che coesistevano nel museo, e, di conseguenza, nel Curatorio: quella "nordica" che si lasciava attirare dalla drammaticità dei mari tempestosi o dal più ossessivo realismo e, dall'altra parte, quella mediterranea, più incline al lirismo delle tinte tenui e degli orizzonti lagunari.

 

1892: si pubblica il catalogo

In seguito a queste nuove acquisizioni - per le quali era stato notevolissimo anche l'impegno finanziario - si decise di stampare il primo catalogo, che uscì entro lo stesso anno 1892 a cura del conservatore.  Egli si limitò a compilare un semplice elenco organizzato in ordine alfabetico e diviso nelle rubriche "pittura", "scultura", "incisioni", che non consente di capire l'ordinamento della raccolta nel percorso di visita, ma fornisce comunque un quadro sufficiente per fare qualche valutazione.  Risalta immediatamente l'eterogeneità della collezione, in cui figurano pochissimi artisti locali, un'ampia rappresentanza di artisti italiani di diverso valore e un numero rilevante di artisti d'oltralpe, specialmente tedeschi e francesi. Pochi i ritratti e quasi tutti di carattere ufficiale: Revoltella,  de Scrinzi, l'arciduca Massimiliano, il re Carlo X di Francia, l'imperatore Francesco Giuseppe. Per il resto, un'equa ripartizione fra scene di genere, paesaggi e soggetti storici, in maggioranza opere minori. I pezzi che si possono classificare importanti sono una decina su centoquaranta voci di catalogo: i dipinti di Guglielmo Ciardi, Cesare Dell'Acqua, Lorenzo Delleani, Giacomo Favretto, Francesco Hayez, Cesare Laurenti, Domenico Morelli, Luigi Nono, Angelo Dall'Oca Bianca, Filippo Palizzi; le sculture di Lorenzo  Bartolini e Pietro Magni (12).

Il Museo Revoltella e la prima Biennale di Venezia

D. Trentacoste, La derelitta (o La diseredata), 1895
D. Trentacoste, La derelitta (o La diseredata), 1895

Era questa la situazione patrimoniale del Museo Revoltella quando, nella primavera 1895, il Curatorio decise di inviare il conservatore, assieme all’avvocato Felice Venezian, futuro presidente del Curatorio, alla prima Esposizione Internazionale d'Arte di Venezia per "acquistare qualche opera di grande importanza artistica". La scelta cadde sulla Diseredata di Domenico Trentacoste, opera premiata e "raccomandata caldamente" da altri che l'avevano già vista.

Da allora la Biennale di Venezia avrebbe costituito per il Museo Revoltella il punto di riferimento più importante per gli acquisti e su questo impegno, che, in un certo senso, fu quasi istituzionalizzato, per molti decenni si fecero convergere i maggiori sforzi finanziari.

La morte del barone Morpurgo, nel 1898, e l'elezione a presidente, nel 1899, dopo un brevissimo mandato di Clemente Lunardelli, dell’avvocato Felice Venezian, indiscusso leader del partito liberal-nazionale,  chiusero per sempre la fase della "gestione aristocratica" del museo e  affidarono all'istituzione anche un ruolo politico che travalicava senza dubbio i fini stabiliti dall'atto fondazionale.

 

La mancanza di spazi

Tra le prime preoccupazioni di Felice Venezian c'era la conquista di nuovi spazi espositivi per la collezione del museo. Approfittando della presenza in Curatorio di due valenti architetti, Ruggero Berlam ed Enrico Nordio, fece predisporre un progetto di copertura a vetri sia del cortile di palazzo Revoltella che di alcune sale del secondo piano.  Provvide pure a fare liberare le sale del piano terra e del primo piano da tutti gli oggetti ritenuti inutili ai fini dell'esposizione di opere d'arte: scomparvero così caminetti in marmo, stufe di maiolica, mobili e "coltrinaggi" che, da un lato, erano di impiccio per un ordinato assetto della galleria e dall'altro appartenevano ad un passato e a un personaggio che in quel momento, forse, si sarebbe voluto cancellare.

Acquisti e identità: un museo diviso tra Italia ed Europa

G. Bilbao y Martinez, La esclava, 1904
G. Bilbao y Martinez, La esclava, 1904

Forse anche per ripristinare buoni rapporti con la Segreteria della Biennale, che nel '97 aveva manifestato viva sorpresa e un forte disappunto per il rifiuto del Museo Revoltella di acquistare le diverse opere proposte, alla terza edizione, del 1899, vennero scelti ben quattro pezzi, tutti piuttosto rappresentativi: San Marco di Ettore Tito, il busto in marmo intitolato Sogno di primavera di Canonica, Primavera e autunno di Andrea Tavernier e Paesaggio alpestre di Arnaldo Soldini (13). 

Malgrado l'appuntamento con la Biennale veneziana fosse già diventato un impegno fisso e determinante ai fini dell'aggiornamento della raccolta, il Curatorio del Museo Revoltella seguiva con attenzione, però, anche altri importanti eventi artistici sia nelle maggiori città italiane che a Parigi, Monaco e Vienna, capitali culturali che, tra l'altro, esercitavano  una forte attrazione sugli artisti triestini (14).

Non fu trascurata nemmeno qualche importante vendita all'asta come quella della collezione del principe Serignano, tenutasi a Napoli nel 1901 e propagandata come ricca di "autori di gran fama come Michetti, Alma Tadema, Dalbono, Makart, Palizzi...",  dove furono acquistate per il museo l'opera di Eduardo Dalbono, La canzone nova e l'Allegoria della navigazione del viennese Hans Makart. Nel 1902 il presidente Venezian visitò con alcuni membri del Curatorio la Prima Esposizione Decorativa Moderna di Torino rimanendo colpito da un dipinto di Giacomo Grosso, La sacra famiglia, che gli altri però non trovarono interessante.

Un'opera di Grosso, La principessa Letizia di Savoia Aosta entrerà nella collezione nel 1905 assieme ad altri importanti acquisti effettuati alla VI Biennale, dove si scelsero sei opere, tre delle quali, seguendo un criterio proporzionale adottato nel 1903 probabilmente sulla scia della galleria veneziana, erano di autori stranieri. Tra l'altro, con Bilbao entrava finalmente al Revoltella un autore spagnolo moderno, mentre Cottet e Zugel rappresentavano quelle scuole pittoriche del Nord che avevano sempre attirato l'attenzione del Curatorio (15). Dalla Biennale del 1905 giunse anche una donazione, l'olio Ore serene di Guglielmo Ciardi, che la baronessa Angela de Reinelt, triestina dimorante a Venezia, aveva voluto acquistare per poi farne dono al museo. Rimaneva sempre inappagato il desiderio di possedere un'opera di Segantini e per tentare di rimediare a questa carenza nella primavera del 1906 si ipotizzò di partecipare all'asta dell'importante collezione Forbes che si sarebbe tenuta a Monaco. Ma poi non se ne fece nulla in attesa della mostra personale allestita a Milano, dove, però, i prezzi elevatissimi resero inavvicinabili le opere di Segantini e non si poterono acquistare che due pezzi del triestino Rietti, mentre non si concluse nulla per gli autori che più avevano colpito la commissione: Gola, Mariani, Sartorio, Troubetzkoy.

Rappresentare le scuole regionali italiane

M. De Maria, Chiesa e campo dei giustiziati in Val d'Inferno, 1907
M. De Maria, Chiesa e campo dei giustiziati in Val d'Inferno, 1907

E'evidente che il Curatorio, al di fuori della Biennale, cercava le migliori occasioni per acquistare opere di artisti italiani che ancora non figuravano nella collezione. Naturalmente dietro questo interesse così vivo c'erano delle ragioni politiche, ricordate nella prefazione al catalogo del 1920: "Nei tristi anni della dominazione austriaca il Curatorio, del quale furono parte alcuni dei nostri patriotti più insigni - valga per tutti il nome di Felice Venezian - volse costantemente il pensiero a moltiplicare con gli acquisti le opere d'arte italiana, in modo che riuscisse evidente il carattere italiano del Museo, e  tenesse vivo il sentimento nazionale attraverso il culto dell'arte nostra."

Se alcune scuole regionali erano rappresentate dai nomi più prestigiosi, come quella napoletana con Palizzi, Morelli, Dalbono, Vertunni, o quella veneziana già citata con un gruppo ancor più numeroso, mancavano quasi del tutto sia gli artisti lombardi che i toscani. Forse furono queste carenze che indussero il Curatorio a fare degli acquisti, nel 1907, presso la famosa Galleria Pisani di Firenze, dove vennero scelti alcuni "quadretti" (come avrebbe detto il conte Sordina) firmati, però, da nomi allora molto quotati: Nicolò Barabino, Mosè Bianchi, Francesco Paolo Michetti, Sanchez Barbudo. A questi si aggiunse un’altra personalità eminente del panorama artistico italiano, Mario De Maria, con l'opera Chiesa e campo dei giustiziati in val d'Inferno, acquistata nello stesso anno alla VII Biennale (16).  E più avanti si cercherà a lungo un'opera di Tranquillo Cremona la cui assenza, come quella di Segantini, evidentemente, pesava al Curatorio.

L'abbinamento tra pittura italiana e pittura straniera deciso dal Curatorio alla Biennale del 1909 era pienamente in linea con la politica di acquisizioni sviluppata nell'ultimo quinquennio: la scelta cadde, infatti, sull'ennesimo "quadretto", sia pure di un autore molto apprezzato, La moschea del Sultano Amurat di Alberto Pasini, e su due artisti stranieri di grande fama, Franz von Stuck e Anders Zorn (17). Poco prima della trasferta veneziana, il Curatorio aveva stabilito, però, che "non si sarebbero fatti acquisti salvo non si presentasse l'occasione di qualche opera d'arte veramente meritevole e di rinomato autore, con particolare riflesso alla scultura." Questa affermazione rifletteva le vecchie posizioni del Curatorio: al contrario, l’interesse per la scultura era già venuto meno già da qualche anno, anche sull'onda della crisi che contemporaneamente aveva investito questo campo. Dopo l'acquisto del Bistolfi, infatti, che risaliva al 1905, il museo non vide più entrare nella sua raccolta sculture importanti, almeno fino al secondo dopoguerra.

Trieste porta in dote all'Italia un importante museo d'arte moderna

Se la Biennale del 1910 va ricordata soprattutto per l'allestimento della "Sala della città di Trieste", visto che gli acquisti di quell'anno, con le opere di Pieretto Bianco, Carlandi, Giani e Scattola, certamente non dimostrano un particolare impegno da parte del Curatorio, molto più interesse dovette avere suscitato l'Esposizione Internazionale di Roma del 1911, dove si recarono il presidente Costellos, succeduto nel 1909 a Venezian, e due membri del Curatorio, oltre al conservatore. La scelta cadde inevitabilmente sui protagonisti dell'esposizione: Antonio Mancini, che insieme a Tito, e in assenza di Michetti, Sartorio e Previati, era considerato il massimo rappresentante della pittura italiana contemporanea e Ignacio Zuloaga a cui era dedicata una delle due mostre personali (18).

E'per questo che il presidente non poteva accettare di buon grado i consigli del conte Sordina sull'orientamento degli acquisti. Considerate le risorse finanziarie disponibili, anche a confronto con l'impegno profuso, ad esempio, dal Comune di Venezia per la Galleria di Ca'Pesaro, occorre ammettere che il Curatorio aveva fatto notevoli sforzi per arricchire la collezione e per assicurarle un aggiornamento di livello europeo.

Purtroppo questo impegno era discontinuo e spesso vano. Alla Biennale del 1912,  dopo avere rinunciato ancora una volta a un dipinto di Tranquillo Cremona, offerto al prezzo molto alto di 30.000 lire,  si acquistarono solo due opere, la Madonna di Felice Carena e il Nudo di Lino Selvatico, che rappresentano certamente una caduta di tono rispetto alle felici iniziative degli anni precedenti.  Si dovrà arrivare al 1914, all'ultima Biennale dell'anteguerra, per incontrare, inaspettatamente l'opera più importante, non solo tra quelle fino ad allora acquistate, ma anche rispetto all'intera collezione del Museo Revoltella: La signora col cane di Giuseppe De Nittis, da un lato il capolavoro tanto a lungo cercato e dall'altro un forte richiamo agli orizzonti europei del fondatore. Ma anche l' affascinante suggello di un'epoca già definitivamente tramontata.

 

(*) Versione modificata del saggio La politica delle acquisizioni del Museo Revoltella dalla fondazione al 1914. Formazione e crescita di una galleria d'arte moderna tra esposizioni internazionali e vita di provincia in Arte d'Europa tra due secoli: 1895-1914. Trieste, Venezia e le Biennali / cat. della mostra a cura di Maria Masau Dan, Giuseppe Pavanello. - Milano : Electa, [1995]. 

 

Note

(1) Il Museo Revoltella era stato fondato nel 1872, in seguito alle disposizioni testamentarie del barone Pasquale Revoltella, morto nel 1869. Egli aveva lasciato alla città di Trieste il suo palazzo, compresi gli arredi e le collezioni d'arte che vi erano ospitate, a condizione che fosse conservato "con carattere di fondazione perpetua, ad uso esclusivo di un istituto di Belle Arti". Nel lascito era compreso anche un capitale di 100.000 fiorini, la cui rendita doveva servire annualmente per incrementare la raccolta.

(2) Il Curatorio era (ed è tuttora) l'organismo di gestione del Museo Revoltella, voluto dal fondatore, al quale spetta  di amministrare la dotazione del museo e di scegliere gli oggetti destinati ad aggiungersi alle collezioni. Si veda a tale proposito in catalogo il saggio di B. Cuderi.

(3) Pasquale Revoltella, nato a Venezia nel 1795, era giunto a Trieste ancora bambino. Dopo un breve apprendistato aprì una propria casa di commercio e in poco tempo riuscì ad accumulare cospicui capitali e ad inserirsi nei consigli d'amministrazione delle maggiori società triestine, le Assicurazioni Generali e il Lloyd Austriaco. Vicino ad influenti membri del governo, ebbe un ruolo politico preminente nella vita della città, ma fu anche benefattore e mecenate. Tra il 1854 e il 1858 si costruì, su progetto del berlinese Friedrich Hitzig un sontuoso palazzo, riccamente arredato e decorato. Morì nel 1869, lasciando alla città un notevole patrimonio.

(4) Augusto Tominz (1818-1883) era figlio di Giuseppe Tominz, il più apprezzato ritrattista operante a Trieste nella prima metà dell'Ottocento. Meno dotato del padre, dopo gli studi compiuti all'Accademia di Venezia con Grigoletti e Politi, tornò a Trieste nel 1846 e si dedicò principalmente a soggetti storici e sacri.

(5) Dal 1872 al 1877 gli acquisti più importanti, oltre al marmo di Bartolini e ai dipinti di Bisi, Vertunni e Palizzi,  sono: Idillio a Tebe  di G. Viotti, Ritratto di Carlo X di M. Nesse, La novella della nonna di P. Saltini, Primo passo di salute di A. Pascutti, Ritratto del primogenito di L. Bianchi, Suonatrice d'arpa di H. Hanstein (dipinti) e La vergognosa di D. Barcaglia (sculture).

(6) Tra questi vi erano il Ferrant, di cui si acquistò il dipinto I cristiani levano dalla cloaca massima il corpo di San Sebastiano, Aurelio Tiratelli, con il Carro di bufali nella campagna romana, e Adalberto Cencetti, autore di due busti in terracotta. Ferrant segna il primo contatto del museo con la pittura spagnola, che, sull'onda della fama arrisa, dal Fortuny in poi, agli artisti di quella nazione dimoranti a Roma, costituirà per decenni uno degli obiettivi principali della ricerca di opere importanti per la collezione.

(7) Nella stessa mostra venne acquistato invece con unanime consenso il gruppo del Barcaglia La donna che trattiene il tempo, che con il prezzo di oltre 8000 fiorini fu uno degli acquisti più cari nella storia del museo.  

(8) Tominz avrebbe voluto acquistare una delle opere più ammirate della mostra come il Galileo di Barabino, o  Michelangelo e Vittoria Colonna di Jacovacci, o  Cesare Borgia di Previati (assai caro però, e comunque troppo grande). Verbale del Curatorio del 20 maggio 1880.

(9) Alfredo Tominz (1854-1936) Studiò a Monaco di Baviera, nello studio dei fratelli Adam. Tornato a Trieste, ebbe un discreto successo di mercato grazie alla sua abilità nel dipingere i cavalli. Fu conservatore del museo fino al 1926.

(10) La ricerca di opere di spagnoli coinvolse direttamente anche il presidente del Curatorio , che,  alla fine del 1885, nel corso di un viaggio d'affari a Roma, visitò lo studio del celebre pittore José Villegas e, avendovi trovato solo due dipinti, "stupendi ma troppo cari", si raccomandò poi al direttore dell'Accademia di Spagna di Roma per individuare il prima possibile un'opera di prezzo inferiore.

(11) Dal 1877 al 1887 gli acquisti più importanti sono, oltre alle opere già citate, L'incoronazione di Gioas di F. Hayez, Mercato del Caucaso di Roubaud, Veduta dell'Aja di Lorenzo Delleani, Torna il sereno di G. Belloni.

(12) Prima della guerra verranno stampati altri tre cataloghi del museo, nel 1898, nel 1901 e nel 1911. La serie del dopoguerra inizierà col catalogo del 1920.

(13) Le scelte delle opere da acquistare erano condizionate anche dalla disponibilità finanziaria del museo, che era abbastanza limitata. Nel 1899, mentre il Museo Revoltella potè fare acquisti per circa 10.000 lire, la galleria di Ca'Pesaro ebbe a disposizione solo dal Comune quasi 40.000 lire.  Si veda al riguardo il saggio in catalogo di F. Scotton.

(14) Nel 1900 il presidente annunciò al Curatorio la sua intenzione di recarsi all'Esposizione Universale di Parigi, ma per evitare di arrivare come altre volte troppo tardi per fare buoni acquisti, incaricò il conservatore di prendere per tempo dei contatti.  Non sappiamo se fece questo viaggio, di cui non si fa cenno nei verbali delle sedute di quell'anno, ma probabilmente non fu per caso che alla Biennale del 1901 venne acquistato, con grande risonanza,  l'enorme dipinto di Lionello Balestrieri, Beethoven, che era stato premiato con la medaglia d'oro a Parigi.

(15) Per questi acquisti fu impegnata la somma di £. 21.500, la maggiore spesa fino ad allora affrontata dal museo. Per il solo Bilbao, l'opera più costosa, furono pagate 8000 lire.

(16) L'opera di De Maria fu acquistata al prezzo di 6.000 lire, mentre il Balestrieri, nel 1901 era stato pagato 5000 lire.  Solo per gli artisti stranieri si superarono queste cifre.

(17) Entrambi gli artisti ottennero per le loro opere la somma di 10.000 lire, il prezzo più alto pagato dal Curatorio.

(18) Si veda a tale proposito V. Pica, L'arte mondiale a Roma nel 1911, Bergamo, Istituto Italiano d'Arti Grafiche, 1912, p. CLVI.

 


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