Mostra "Trieste liberata" 1918

Cenni storici

 a cura di Adriana Casertano

 

Arnaldo Polacco (1876-1960)

Arrivo delle navi italiane, Trieste 3 novembre 1918

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Trieste visse gli ultimi tre giorni dell'ottobre 1918 in uno stato di tensione vivissima, le notizie dei rapidi avvenimenti politici e militari – la richiesta dell'armistizio e la grave sconfitta subita dall'esercito austriaco a Vittorio Veneto – portarono già al pomeriggio del 29 ottobre a una serie di imponenti manifestazioni che proseguirono nei giorni seguenti.

 

Mercoledì 30 ottobre 1918

Poco dopo mezzogiorno dal Caffè degli Specchi esce un gruppo compatto di giovani con un tricolore improvvisato, percorre la città e come attraversa le vie altri gruppi vi si aggiungono sino a formare un'enorme fiumana di popolo, salutata dalle finestre delle case con sventolio di fiori e con grida d’entusiasmo. “L'ora è scoccata!” – gridano – “Il Governo austriaco è decaduto per sempre!”

I dimostranti acclamano il loro antico podestà, l'avvocato Alfonso Valerio, destituito ed internato dall'Austria allo scoppio della guerra e da poco ritornato alla città natale, al grido di “Viva il primo sindaco della città redenta!” Alle ore 14 si issa la bandiera italiana sulla torre del Municipio e poi sul campanile di S. Giusto, mentre i pittori Carlo Wostry, Cesare Sofianopulo e Franco Cernivez per mezz'ora ne fanno suonare il Campanone. Durante il percorso vengono abbattute le aquile imperiali che ornano le facciate dei palazzi, fatti dei falò delle bandiere giallo-nere e “pubbliche esecuzioni” di immagini, ritratti e busti della dinastia asburgica.

 

Polizia e soldati austriaci e bosniaci scendono nelle strade, tentano di strappare le prime bandiere, di disperdere ed arrestare i dimostranti, ma vengono sopraffatti. La folla libera dalle prigioni gli arrestati politici, aprendo però le porte anche ai delinquenti comuni che una volta fuori si uniscono ad altri in bande organizzate che si abbandonano a grassazioni e saccheggi. 

 

La città, devastata dall'influenza spagnola e dalla fame, è nel caos, non c'è più nessuna forma di autorità. Il Fascio nazionale italiano, costituitosi due giorni prima, si riunisce d'urgenza e, con una rappresentanza del Partito socialista, crea un Comitato di Salute pubblica, sotto la presidenza d'Alfonso Valerio: è composto da dodici italiani liberal-nazionali e dodici italiani socialisti, ai quali si aggiungono più tardi quattro delegati slavi (due nazionalisti e due socialisti). Alla sera si recano dal Luogotenente imperiale, barone Alfred de Fries-Skene, per comunicargli che il Comitato, proclamata la decadenza dell'Austria dal possesso della città, intende assumere il governo di tutta la cosa pubblica. Il barone si riserva di informare il prof. Heinrich Lammasch, presidente del Consiglio dell’Impero. Alle 19.30 giunse la risposta da Vienna: il governo riconosceva i fatti compiuti: il paese era libero. Il luogotenente conviene coi rappresentanti del Comitato che la consegna di tutti gli uffici pubblici sarebbe avvenuta l’indomani. Usciti dal palazzo i delegati annunciano alla folla assiepata in piazza che Trieste non appartiene più all’Austria.

 

Giovedì 31 ottobre 1918

Già ai primi albori del giorno la città si veste a festa: tricolori ovunque d'ogni misura. In Piazza Grande, ribattezzata di volta in volta Piazza d'Italia o Piazza Indipendenza, viene bruciato il “marinaio di ferro”. Alle 11 avviene la consegna dei poteri politici e amministrativi al Comitato di salute pubblica da parte del Luogotenente, che parte per Graz. Subito sul palazzo viene alzata la bandiera tricolore, salutata da salve di battimani e grida di “Viva l'Italia” dalla folla.

 

Il Comitato pubblica un manifesto diretto alla cittadinanza in cui proclama il distacco di Trieste dallo stato austriaco e l'assunzione di tutti i poteri civili e militari e di tutte le istituzioni della città. Proibisce ogni partenza di treni trasportanti viveri, requisisce i depositi di cereali, vieta ogni assembramento, scioglie dal giuramento all'Austria le guardie di pubblica sicurezza e le passa agli ordini dei Commissari civili, istituisce una Guardia civica a garanzia dell'ordine pubblico. Ma la città non è al sicuro. Isolata dal resto del territorio, i suoi dintorni sono pieni di truppe austro-ungariche in ritirata, e da gruppi di prigionieri russi e serbi che assalgono i vagoni delle derrate; scontri violenti sorgono qua e là, nei dintorni delle caserme e dei magazzini. La Guardia civica ingaggerà con i saccheggiatori una vera e propria guerriglia, con un bilancio di una trentina di morti e decine di feriti.

 

Nel pomeriggio il Comitato, nell'impossibilità di garantire la sicurezza personale e patrimoniale di tutta la cittadinanza e di fronte al precario approvvigionamento alimentare della città, decide di spedire un radiogramma al Comando della flotta dell'Intesa a Venezia, avvertendo che all'indomani dalle ore 9 in poi al largo di Caorle sarebbe giunta una torpediniera con a bordo i delegati del Comitato per chiedere aiuto.

 

Alle 21 parte da Trieste la torpediniera “T. B. 3”, già austriaca e ceduta dal governo al Comitato Nazionale jugoslavo(KNS), al comando c'è il tenente Pierpaolo Vucetic, issa le bandiere italiana, jugoslava e bianca, e reca a bordo tre parlamentari del Comitato: Marco Samaja, per i liberal-nazionali, Alfredo Canino, per i socialisti, Josip Ferfolja, per gli sloveni.

 

Venerdì 1° novembre 1918

È una giornata di attesa ansiosa: tutta la città si riversa sulle rive e in Piazza Grande ad attendere l'invocata flotta. L'attesa dura fino al crepuscolo.

 

Sabato 2 novembre 1918

Alle 16 sei velivoli della 260a squadriglia della Stazione idrovolanti Giuseppe Miraglia di Venezia lasciano cadere dei volantini, recanti “nel giorno di San Giusto in Trieste libera fervidi saluti fraterni fatti con animo”.

Sono guidati dal tenente di vascello Orazio Pierozzi (3 medaglie d'argento), dal tenente Uberto Bartolozzi, dal sottotenente Umberto Calvello (2 medaglie d'argento e 1 di bronzo), dal guardiamarina Ivo Ravazzoni (medaglia d'argento), dai marinai Emilio Dry e Giuseppe Pagliacci (medaglia d'argento). Quest'ultimo, contravvenendo agli ordini, discende col suo idroplano nel Porto Vecchio e alla folla festosa che lo accoglie annuncia per l'indomani mattina l'arrivo della flotta italiana. La disobbedienza gli fruttò tre mesi di detenzione.

 

Domenica 3 novembre 1918

Una folla immensa si assembra in Piazza Grande, sulle rive, sui moli, persino sui tetti delle case e aspetta per parecchie ore sotto la pioggia.

Alle 14 ecco spuntare all’orizzonte una nave: era la torpediniera che aveva portato a Venezia i delegati di Trieste. Alla folla assiepata lungo le rive confermano l’imminente arrivo: dicono che alla loro partenza almeno undici unità erano pronte fuori del Lido per partire.

 

Alle 15.50 si avvistano gli aerei della sezione Miraglia di Venezia, quasi impercettibili nella nebbia. E sul mare si cominciano a intravedere quattro cacciatorpediniere di alto mare, grigi, piccoli, snelli; uno con due ciminiere tozze, pieno di gente. Man mano che avanzano la folla si fa nervosa e inquieta, rompe i cordoni e corre verso il molo S. Carlo dove già si trovano le rappresentanze e i membri del Comitato di salute pubblica.

Si tratta delle prime navi del convoglio italiano partito da Venezia alle 6 del mattino, composto da sei cacciatorpediniere (Audace, La Masa, Missori, Fabrizi, Climene e Procione), dalle cannoniere Marghera e Brondolo, dalle torpediniere Pellicano e 113S, dai dragamine RD1 e RD2 e da tre vaporetti lagunari S. Elena, Roma, Clodia che trainano nove maone veneziane.  

Vi sono imbarcati circa 2.600 uomini tra soldati e marinai: il battaglione Golametto del Reggimento “Marina”, la II Brigata bersaglieri al comando del generale Felice Coralli e 184 carabinieri destinati al servizio di pubblica sicurezza in città.

 

È l'Audace, al comando del capitano di corvetta Pietro Starita, la prima imbarcazione italiana ad attraccare alle ore 16.20 al molo S. Carlo. Ha a bordo il comandante del XIV Corpo d'Armata, generale Carlo Petitti di Roreto, e i capitani di vascello Alfredo Dentice di Frasso e Giobatta Tanca. Due ore dopo arriva il resto del convoglio che sbarca le truppe al molo Sanità.

Un motoscafo con bandiera italiana si accosta ai fianchi dell'Audace con i rappresentanti del Comitato, il podestà Alfonso Valerio e il socialista Edmondo Puecher, venuti a ricevere il comandante.

Il generale Petitti di Roreto, sceso a terra, batte il piede al suolo e proclama: “In nome di Sua Maestà il Re d'Italia prendo possesso della città di Trieste”. Poi, accompagnato da uno stuolo di ufficiali, si reca col podestà al palazzo della Governo. Affacciatosi alla loggia fa il suo primo discorso alla città e, come Governatore militare della Venezia Giulia, dichiara sciolto il Comitato di salute pubblica.

 

Lunedì 4 novembre 1918

Il mattino del 4 novembre viene consegnato al generale Petitti, a nome delle donne di Trieste, un tricolore cucito segretamente nel 1916 da quattro giovani amiche - Nerina Slataper (sorella di Scipio e Guido), Maria Schiller, Lucilla Luzzatto e Bianca Stuparich (sorella di Giani e Guido) - e poi nascosto per due anni nel giardino di casa Slataper. 

La bandiera viene issata sulla torre campanaria di S. Giusto dopo la solenne cerimonia di consacrazione delle armi italiane su un altare eretto sul sagrato della cattedrale.

 

Domenica 10 novembre 1918

Alle 10 giunge a sorpresa, a bordo dell'Audace, il re Vittorio Emanuele III coi generali Armando Diaz e Pietro Badoglio. Tra fitte ali di popolo festeggiante, si reca in Municipio e visita la cattedrale di S. Giusto e il castello, poi va al palazzo del Governatore. La visita dura poche ore: alle 13.30 lascia Trieste sempre a bordo dell'Audace. Il Molo S. Carlo viene ribattezzato Molo Audace, mentre il lungomare contiguo assume il nome di Riva 3 novembre.

 

Da questo momento a Trieste ci saranno un susseguirsi di manifestazioni, riviste militari, commemorazioni nazionali italiane, come la Festa dello Statuto, fissata alla prima domenica del mese di giugno, che celebrava lo Statuto albertino del 4 marzo 1848, diventato poi la Carta costituzionale del Regno d'Italia. Fino alla grande festa del 20 marzo 1921 che sancirà l'annessione della Venezia Giulia al Regno d'Italia.

 

I commenti che accompagnano le fotografie sono tratti dal quotidiano “La Nazione”, il cui primo numero uscirà il 1° novembre 1918. In verità l'uscita era stata predisposta per il giorno 10 novembre ma gli eventi ne accelerarono l'esordio, che avvenne in formato ridotto per penuria di carta e mancanza di tipografi.

 

I direttori sono Silvio Benco e Giulio Cesari, ritornati nel marzo dello stesso anno dai campi di prigonia, e vi collaborano Aurelia Cesari (figlia di Giulio e futura madre di Miela Reina) e Guido Morpurgo, l'editore è Ermanno Curet. Il giornale, finanziato con una fulminea sottoscrizione di 300 mila corone, viene stampato nella tipografia del Lloyd Austriaco con la carta fornita dallo stabilimento Modiano.

 

Il saluto ai lettori dice: “È  l'ora più grande e più bella della storia di Trieste. Il destino si compie. Su la torre di piazza, issato dai cittadini, sventola il Tricolore. La libertà ride nei volti, esulta nei canti della patria mentre le insegne del potere caduto s'abbattono e passa maestosa l'onda dei vessilli per cui è dolce anche morire. Il nostro giornale sorge in quest'ora divina. E non è una concezione della volontà nostra: voce di popolo lo chiama e lo crea: si chiama La Nazione parola sintetica  di tutto quanto è in noi pensiero e vita: balza alla luce nell'incalzare degli avvenimenti.”

 

Nel 1922, con la formazione del governo fascista, cesserà le pubblicazioni.

 


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