a cura di Claudia Morgan
La tradizione riporta una testimonianza del pittore francese Paul Delaroche che quando nel 1839 si trovò davanti ad un dagherrotipo per la prima volta affermasse “Da oggi la pittura è da considerarsi morta” perché il metodo Daguerre “era in grado di soddisfare completamente tutte le richieste dell'arte, portando i principi artistici essenziali a una tale perfezione da diventare soggetto di osservazione e studio per i più colti pittori”.
Analogamente in Inghilterra un aneddoto simile vede protagonista l'attempato pittore William Turner. Mentre osservava un apparecchio per dagherrotipi fu inteso mormorare “Questa è la fine dell'arte, sono contento di aver avuto il mio momento”.
La frase rivela la paura e la confessione nell'ambito di una professione privilegiata che improvvisamente vede il proprio lavoro messo a confronto con quello di una macchina che produce immagini. E le conseguenze non tardano.
I primi ad essere soppiantati dalla nuova tecnica sono i miniaturisti, molti dei quali per evitare la disoccupazione, dovettero diventare fotografi. Una prima indagine sui fotografi professionisti al lavoro a Amburgo e a Berlino dimostra che un terzo di loro aveva fatto in precedenza il pittore.
Naturalmente vi furono anche famosi pittori che riconobbero apertamente l'apporto della fotografia al loro lavoro facendo diminuire la fatica.
In Francia il grande Eugène Delacroix, primo fra tanti, che non era interessato alla fotografia tout court, mise in posa molti modelli davanti alla macchina fotografica
dell'amico e collaboratore specializzato in nudi Eugène
Durieu. La modella del ritratto fotografico, nel quadro l'Odalisca è trasportata dal pittore in un harem turco ricco di drappeggi e di stoffe.
Iniziato il quadro nel 1854 ma terminato solo nel 1857 Delacroix ammette che non lavorandovi con grande entusiasmo ne interrompe la realizzazione di tre anni e che si era servito di un dagherrotipo. L'accenno non esclude l'uso di una fotografia stampata, in quanto allora la parola dagherrotipo era usata comunemente per indicare fotografie di ogni sorta.
Nel catalogo L'oeuvre complet de Eugene Delacroix di Alfred Robaut il quadro è oggetto di un'interessante osservazione: "La disinvoltura del movimento è accentuata dalla posizione delle gambe, che hanno un'aria perfettamente naturale di abbandono". Delacroix trova stupefacente la qualità della naturalezza nelle fotografie di Durieu. In questo caso, l'inelegante giro del piede con le dita allargate, la contratta piegatura della gamba sotto l'altra, l'inclinazione fin troppo naturale della testa e l'atteggiamento fermo delle mani fanno un curioso contrasto con la realizzazione dell'elegante posa del quadro, posa che ha condizionato il pittore. Delacroix però opera un'alterazione delle forme così naturalmente grossolane, allungando le cosce accorciate dalla prospettiva fotografica, elemento credibile nella fotografia ma che sarebbe divenuto incredibile nel quadro.
Nel 1850 Delacroix aveva affermato "il dagherrotipo non è che il riflesso del reale, che una copia, in un certo senso falsa a forza d'essere esatta... L'occhio
corregge", trova attuazione nel nudo dell'Odalisca.
A sinistra Nudo, 1857 da un album di fotografie appartenuto a Eugène Delacroix, opera di Eugène Durieu, a destra Odalisca, olio 1857
Bibliografia
Delacroix e la fotografia in A. Scharff, "Arte e fotografia" 1979.
G. Macdonald, L'occhio dell'800, Milano : Mondadori, 1981.
T. Ang, Storia della fotografia. 1. I primi passi della fotografia. London ; Penguin Random Hoise, 2014.
I dipinti di Gustave Courbet, prestigioso esponente del movimento realistico, furono ingiuriati come “scene banali degne solo della dagherrotipia”, sebbene il pittore facesse un uso occasionale della fotografia. Il suo torto effettivo era quello di attaccare lo stile romantico allora in voga. Quando Les Baigneuses fu esposto nel 1853 al Salon di Parigi, si narra che Napoleone III indignato da tanta volgarità abbia schiaffeggiato il cospicuo posteriore della bagnante nuda.
Courbet aveva osato aprire la dimensione monumentale di solito riservata agli eroi o ai santi alla gente più comune.
A sinistra Nudo di Julien de Villeneuve acquistato da Gustave Courbet nel 1853 da Wikipedia.
Gustave Courbet, Les Baigneuses, olio, 1853
La fotografia porta gli artisti a modificare il loro modo tradizionale di vedere. Alcuni aspetti della modalità visiva della macchina fotografica indicano nuove aree di ricerca che i più avventurosi iniziano subito a esplorare. L'immagine confusa causata dal movimento degli alberi durante le lunghe esposizioni delle prime foto di paesaggi appare nelle vedute di Jean Baptiste Camilel Corot, compagno di alcuni famosi fotografi francesi. Il pittore adotta anche l'effetto fotografico dell'alone, la caratteristica diffusione di luce intorno alle sagome causata dalla rifrazione sulle lastre di vetro, le prime comunemente usate intorno al 1850.
Trasforma inoltre il clichè verre, letteralmente immagine di vetro, in una curiosa e popolarissima fusione tra arte e fotografia: esegue una vera e propria incisione su vetro per sfruttare poi l'effetto della luce su carta sensibile. Il risultato finale è molto simile a quello dell'acquaforte, con la possibilità di creare dei cromatismi particolari. Quando Corot muore, centinaia di studi fotografici vennero trovati nel suo atelier.
Il punto di osservazione degli impressionisti cambia. Ne è un esempio indicativo Claude Monet, che, verso la fine degli anni Cinquanta, scruta dall'alto gli affollati boulevards parigini, con una stereocamera, cosi da riempire di gente le strade, in precedenza riprese sempre deserte dai lenti dagherrotipi.
Non si ignora l'evidente valore della fotografia.
Il 19 giugno 1867 Massimiliano d'Asburgo imperatore del Messico, fratello di Francesco Giuseppe imperatore d'Austria, viene catturato e fucilato dai repubblicani insorti di Benito Juarez.
Tra i più sconvolti e indignati dalla notizia della fucilazione, telegrafata in Europa nel luglio del 1867 ad esecuzione già avvenuta, è il pittore Eduard Manet che dedica alla scena dell'esecuzione ben quattro tele nel biennio 1867-1868, la più celebre delle quali è L'esecuzione dell'imperatore Massimiliano, conservata a Mannheim.
Il pittore simpatizzante repubblicano che aveva buoni motivi per lagnarsi di Luigi Napoleone, si ipotizza concepisse questi dipinti una critica al regime e alla vergognosa partecipazione all'avventura di Massimiliano, per cui il quadro era l'immediata illustrazione storica di un importante evento contemporaneo. In tal caso le fotografie scattate sul posto costituivano un materiale di prim'ordine e "servendosene Manet si adeguava alla tradizione cronachistica della pittura moderna, nella quale l'esattezza letterale era ormai d'obbligo" (1).
A conferma dell'esistenza di tali fotografie vi è la testimonianza del ritrovamento nel 1910 ad Amburgo da parte del pittore Max Liebermann di un album sulla tragica morte di Massimiliano nel Messico, tra le quali quella di Massimiliano e dei generali Miramòn e Mejìa tutti fucilati nello stesso giorno.
Note
1. Scharf, A. La fucilazione dell'imperatore Massimiliano in “Arte e fotografia. Il ritratto”. Torino : Einaudi, 1979, p. 64-75
La foto suscita molte perplessità sull'effettiva presenza di un fotografo sulla scena. L'evento ebbe una tale risonanza in Europa che richiese una testimonianza visiva quale si poteva ricavare dalle fotografie. Il risultato fu la circolazione di positivi altamente commerciabili che si possono intendere come esempio di "verità oggettiva ricostruita".
Molto suggestiva è fotografia di Adrien Cordiglia - visibile in rete - costruita con le immagini di François Aubert che sembra evocare i fantasmi dei condannati.
Cordiglia usando come sfondo la fotografia del luogo dell'esecuzione, vi ha sovrapposto il plotone, diviso in due metà negli angoli inferiori, e le tre vittime al centro, a loro volta grossolani fotomontaggi, assemblati da teste poste su corpi di diverse dimensioni.
Sotto la figura di Massimiliano compaiono manoscritte le sue ultime parole: "Messicani, possa il mio sangue essere l'ultimo versato e possa ravvivare questo paese infelice".
Negli anni Sessanta dell'Ottocento la documentazione fotografica degli eventi mondiali era diventata una pratica standard.
Il tragico fascino dello sfortunato Impero di Massimiliano e Carlotta ne fece un soggetto ideale per i venditori di cartes-de-visite orientati al mercato. Una documentazione insolitamente completa di alcuni aspetti dell'esecuzione di Massimiliano è stata fotografata da François Aubert, e in seguito ampiamente distribuita da vari studi fotografici.
Pittore a Lione, nel 1854 si reca in Messico e impara l'arte fotografica presso Jules Amiel a Città del Messico, nel
1864 ne acquista lo studio in Calle de San Francisco 2, dove ritrae civili e militari e diventa il fotografo ufficiale della corte imperiale. È famoso anche per aver introdotto positivi che
riproducono i costumi tipici messicani e scenette di genere. Altrettanto famoso è il suo servizio di fotografie sulla fine di Massimiliano che più tardi vengono riprodotte in formato carte de
visite e distribuite in Europa da Disdéri, Auguste Peraire, lo studio viennese di Auguste Klein e Jägermayer, lo stesso Aubert e altri fotografi. Aubert non fotografa l'esecuzione, alla quale non è presente, ma la squadra di soldati che uccidono Massimiliano a Queretaro, gli abiti
dell'imperatore perforati dai proiettili (il panciotto, la giacca, la camicia), le tre vittime, oltre a Massimiliano i generali Miguel Miramon e Tomas Mejia, e la salma di Massimiliano nella
bara. Questi positivi vennero ampiamente riproposti e fortemente ritoccati.
Rientra in Francia nel 1869. Alla sua morte lascia tutti i suoi negativi al Musee royal de l'Armée belge.
[da scheda autore Francois Aubert a firma di Claudia Morgan]
Non potevano mancare nella Fototeca civica di Trieste alcune copie che ci permettono di capire la portata dell'affaire, legato alla tragica vicenda. I fotogrammi di Aubert sono riprodotti da Disdéri, ma diffusi e venduti da Auguste Klein famoso orafo austriaco, fornitore della corte imperiale viennese. Nel 1869 egli apre a Parigi diverse attività specializzate nel commercio di pelletteria e di bronzi con sede in Boulevard des Capucines n. 6 a pochi passi dallo studio di Disdèri. Lavora in particolare per ricchi collezionisti europei e russi.
Come dice la didascalia apposta alla carte de visite di
Camisa de Emperador Maximiliano
in: Photographie & Dynastie. Bruxelles : Institut Royal du Patrimonoine Artistique, 2003, p. 15
Come dice la didascalia apposta alla carte de visite di
El Emperador Maximiliano embalsamado
in: Photographie & Dynastie. Bruxelles : Institut Royal du Patrimonoine Artistique, 2003, p. 15
Da sinistra a destra:
Il luogo della detenzione. Il luogo dell'esecuzione. La carrozza per il trasporto dell'imperatore.
Da sinistra a destra:
Il drappello dell'esecuzione. Il generale Tomàs Mejìa, Massimiliano e il generale Miguel Miramon. Il carro funebre. Il corpo imbalsamato dell'imperatore. La camicia insanguinata.
Grazie al Public Domain del Metropolitan Museum of Art in New York
Completiamo l'analisi del quadro di Manet.
Per quanto riguarda i visi dei protagonisti il pittore si avvale di ritratti su carte de visite.
Ritenendo che Massimiliano fosse stato abbandonato dalle potenze europee e in particolare da Napoleone III, ritrasse i componenti del plotone di esecuzione con la divisa dell'esercito francese e all'ufficiale in secondo piano dietro al plotone diede un volto simile a quello dell'imperatore francese, il quale non era solo responsabile dell'intera vicenda ma patrocinava anche i Salon, cioè le esposizioni francesi che avevano rifiutato le sue opere. Ma l'ipotesi è tutta da verificare.
Il generale Miguel Miramòn dietro all'imperatore Massimiliano in un particolare del quadro. Ritratti fotografici dei protagonisti
da Getty Images, da Edizioni Cento parole
Il generale Tomàs Mejìa in un particolare del quadro, accanto i suoi ritratti fotografici.
Discosto dalle altre figure è il sergente all'estrema destra che si prepara a vibrare il colpo di grazia, senza alcun dubbio si tratta del generale Porfìrio Diaz come si può desumere dal suo ritratto, secondo Scharf. Bisogna ricordare però che il generale non poteva essere presente all'esecuzione, in quanto due giorni dopo guida le truppe repubblicane alla conquista di Città del Messico distante ben 200 km da Querétaro. Manet lo inserisce nel dipinto volendo alludere al rifiuto di Diaz di venire a patti con Massimiliano quando questi gli aveva fatto delle offerte all'inizio della campagna. L'espressione pensosa nel dipinto forse vuole raffigurare il rammarico del generale alla notizia dell'esecuzione. Ma si può supporre anche che, essendo il più popolare e noto dei generali repubblicani, le sue carte de visite circolavano diffusamente a Parigi.
Un'altra ipotesi che vuole ricordare la responsabilità francese nella vicenda di Massimiliano e soprattutto nella sua esecuzione è il richiamo visivo ritratto di Napoleone 3. di Disdéri.
In Aaron Scharf, La fucilazione dell'imperatore Massimiliano in "Arte e fotografia. Il ritratto", Torino : Einaudi, 1979, p. 65-68
Étienne Carjat, Degas (1860)
da Wikipedia
Infine citiamo il poeta Paul Valéry che testimonia come Edgard Degas, pittore e scultore, fosse un provetto fotografo e che nei suo lavori avesse raggiunto una nuova e notevole combinazione nel riprendere “l'istantanea con l'interminabile lavoro in studio”.
Per maggiori informazioni su questo suo rapporto è interessante Edgar Degas e la fotografia.
Un'acuta e - per quanto mi consta - inedita spiegazione delle sue inquadrature si trova nell'opera di Riccardo Falcinelli Figure (1) che ci informa come il pittore si accorga a 35 anni d'essere monocolo. Arruolatosi in fanteria nel 1870, essendo Parigi assediata dai prussiani, passato poi all'artiglieria scopre che non vede il bersaglio con l'occhio destro. Da questa data i suoi dipinti sono puri scatti fotografici, realizzati con un occhio solo, infatti non nega mai di usare le fotografie e studia le possibilità offerte dal mezzo fotografico. Riesce a ottenere lo sfocato, il mosso, l'indefinito, ma soprattutto taglia, inquadra ciò che lo interessa e abitua il nostro sguardo ai suoi punti di vista, che colgono la realtà non in posa, ma viva, dinamica, fissata in un attimo altrimenti fuggente.
Note
1. Riccardo Falcinelli, Figure. Torino : Einaudi, 2020 (Stile libero extra), p. 47-49