Studi fotografici  negli anni cinquanta

Gli anni Cinquanta sono forieri di grossi cambiamenti che renderanno la professione più praticabile e meno invalidante, in quanto ben pochi dagherrotipisti sono consapevoli degli effetti velenosi e devastanti per l'organismo prodotti dalle esalazioni dei vapori di mercurio che doveva essere riscaldato a 60° per sviluppare le lastre di rame argentate.

 Il continuo progresso tecnologico sostenuto dai fotografi più intraprendenti, dai chimici e produttori di strumenti, ha potenziato la velocità di realizzazione, la qualità e la chiarezza delle immagini. Le fotocamere subiscono una serie continua di innovazioni, sono sempre più trasportabili e con meccanismi rapidi, solide così da poter essere usate fuori dallo studio e l'ottica a sua volta produce obiettivi piccoli, leggeri, facili da regolare, più economici e migliori. Gli scienziati si applicano alla sensibilità dei materiali fotografici e allo studio della curvatura delle lenti per riprendere i panorami.

 La diffusione dei calotipi (detti anche talbotipi dal loro inventore l'ingleseWilliam Henry Fox Talbot brevetto del 1841, immagini riportate sulla carta per azione della luce) si deve alla possibilità di poter avere più copie da uno stesso negativo (anche se con dettagli sfocati dovuti alla rugosità della carta, rispetto ai nitidi e precisi unici dagherrotipi), ma dal 1852 il procedimento del collodio umido rende la fotografia una tecnica facile, il negativo su vetro da cui si possono trarre positivi su carta albuminata moltiplicabili a piacere permette un livello di dettagli notevoli e una migliore qualità tonale.

Ma ritorniamo a questi nuovi professionisti.

 Un certo numero abbandona il percorso lavorativo già intrapreso e si avventura sulla strada della fotografia, chi sa usare gli acidi, come chimici, medici, farmacisti, droghieri abituati a confezionare pozioni, affronta con consapevolezza la camera oscura, ma si sperimentano pure i cuochi perché sanno mettere le mani in pasta irride Nadar. Un altro gruppo appartiene al mondo dell'arte, incisori, litografi, pittori, disegnatori, orefici (1) e calligrafi, titoli che alludono alla loro formazione pregressa e non nascondono anzi aumentano la loro credibilità. Alcuni sono un esempio eclatante di indecisi: pittore o fotografo? I fratelli Rieger per citare qualcuno.

La realtà di Trieste è più variegata e dinamica rispetto alle altre città italiane: è un polo d'attrazione per chi pratica la nuova professione, i fotografi arrivano al porto di mare dalle varie parti dell'impero austriaco e dall'immediato entroterra, sperando nella fortuna e nel rilancio sociale o perlomeno nei guadagni sicuri.

Alcuni di loro non partiranno più e diventeranno famosi.

L'avventura fotografica coinvolge una generazione che nasce prevalentamente dal 1820 in poi, ne citiamo solo alcuni: Matteo Stipanich nato 1822, Giuseppe Malovich n. 1823, Wilhelm Engel n. 1824, Ferdinando Ramann n. 1824, Emilio Maza n. 1824, Antonio Sorgato n. 1825. La loro preparazione è dovuta all'apprendistato presso uno studio, azione definita anche "rubare il mestiere" di modo che possono presentarsi come allievo di... solitamente termine considerato una garanzia dell'abilità acquisita o di una particolare specializzazione e in alcuni casi di una continuazione nella gestione dell'archivio di lastre. Sono fotografi che perseguono uno stereotipo rigido molto simile a miniature, che privilegiano una leziosità della posa pittoricistica, ricorrono ai ritocchi e alla coloristica perseguendo l'accuratezza tecnica, senza mai dimostrare originalinalità.

In pochi anni il loro numero aumenta (2).

Note

1. Federico Guglielmo Bünger è l'orefice e gioielliere che opera anni a Trieste come fotografo. Nato a Berlino nel 1804 muore a Trieste 1872.12.10.
È attivo come fotografo in contrada dei Forni, 982 casa Zoratti "Studio Fotografico-Niepçotypico di F. G. E. Bünger" dal 1858 al 1859; in via Squero Nuovo, 990 - 4 casa Panfili dal 1860 al 1863. Gli avvisi pubblicitari su il Diavoletto (a. 13, n.136, 258 del 12 giugno e 7 novembre 1860) avvertono: Studio fotografico di F. G. E. Bünger situato sulla grande terrazza in primo piano al fu squero Panfilli, riva della posta, via del nuovo ponte sul canale, l'entrata al n. 990, casa Panfilli in corte a mano sinistra, è aperto tutti i giorni dalle 9 antim. alle ore 5 pom. Nell'avviso di giugno si vanta il metodo del professore Marowsky [non identificato] e la possibilità di "eseguire qualsiasi lavoro anche in giornate non chiare ed annuvolate".

2. Per quanto riguarda il nuovo decennio 1850-1860 una stima è ancora da fare. Invece grazie al collezionista Maurizio Radacich non è difficile quantificare il numero degli studi fotografici attivi a Trieste dal 1860 al 1914, sono ben 149. Nell'accurato Elenco dei fotografi fino al 1914 egli individua, attraverso i logo stampati sui cartoncini dei positivi, i nomi dei fotografi nelle loro molteplici varianti verificati sia sulla fonte primaria (positivo stesso) sia su quella secondaria (cartoncino).

Il 22 dicembre 2009 Maurizio Radacich ha donato alla Fototeca dei Civici musei il suo ricco patrimonio di positivi, soprattutto ritratti e vedute per un totale di 850 documenti, che testimoniano l'attività degli studi fotografici a Trieste. Tale ricca donazione ha permesso di arricchire e completare il patrimonio conservato dalla Fototeca e quindi ha reso possibile la realizzazione dell'esposizione dedicata allo Studio di Guglielmo Sebastianutti e Alberto Benque, Due fiorini soltanto : Sebastianutti e Benque fotografi a Trieste tenutasi a Palazzo Gopcevich, sala Attilio Selva dal 15 aprile al 6 giugno 2010 [catalogo a cura di Claudia Morgan. Trieste : Comune di Trieste, Civici musei di storia ed arte, 2010. 201 p. : ill. ; 26 cm]. Ci ha permesso inoltre di conoscer gli ultimi discendenti di Benque e di Lily Benque, figlia di Alberto, avendoli Maurizio rintracciati a Graz.

 

I primi nomi

 

Stabilire una data fondante, una pietra miliare imprescindibile, da cui far partire la diffusione e moltiplicazione degli studi fotografici a Trieste, è quanto mai complesso.

I primi indizi sono gli avvisi apparsi sui quotidiani locali che i fotografi imparano presto ad usare per raggiungere una clientela diffusa. Sono attenti all'informazione e grazie ai giornali non strettamente ufficiali, che si leggono nei luoghi d'incontro, caffè, trattorie, alberghi e nelle istituzioni o associazioni e che presentano soprattutto notizie locali, il contatto con la futura clientela è garantito.

La pubblicità fa buon gioco anche ai quotidiani che in tal modo ottengono dei finanziamenti costanti nel tempo, facendo aumentare sia le tirature sia le pagine, basti un rapido confronto con le prime annate del triestino Il Diavoletto.  Nel 1851 gli avvisi si presentano relegati a dei foglietti che compaiono ogni tanto, mentre già nel 1857 la pubblicità occupa ogni giorno interamente le due ultime pagine e offre informazioni preziose, ma anche curiose degne di indagine sociologica.

 Nella carrelata di nomi dei fotografi presenti dal 1850 a Trieste - citiamo Emilio Maza, Giuseppe Josz, Tommaso Patzal, Matteo Stipanich, Andrea de Castro, Ferdinando Ramann (1)-, non tutti baciati dalla fortuna o meglio attivi con alterne fortune.

 Inizieremo da un personaggio interessante, Ferdinando Ramann tra i tanti non triestini che si stabiliscono in città attratti dalle potenzialità offerte da un porto che, in prospettiva, nell'ambito dell'impero, si prevede avrà un'espansione finanziaria, economica, urbanistica e soprattutto demografica.

 

Note

1. La ricognizione della loro presenza è possibile solo con la consultazione dei periodici del decennio della seconda metà dell'Ottocento, in quanto la voce Fotografie poi Fotografi sulle Guide scematiche compare solo nel 1857 e con continuità dal 1861 su l'Almanacco strenna poi titolato Almanacco e Guida scematica.

Avvisi Maza su Osservatore triestino, n. 10, 15, 21 (13, 18, 25 gennaio 1851);

Avvisi Maza su  Il diavoletto, a. 5, n. 28 (28 gennaio 1852), Avvisi Josz n. 263, 265, 268 (23, 25, 28 settembre 1852), Avvisi Patzal n. 278, 279, 284 (8, 9, 14 ottobre 1852);

Avvisi Maza su Il diavoletto, a. 6, n. 236, 238 (28, 30 agosto 1853) 243, 249 (4, 11 settembre 1853) 300, 304, 306, 308 (1, 6, 8, 10 novembre 1853) 336 (8 dicembre 1853);

Avvisi Stipanich n. 175 (28 giugno 1853), 243, 251, 253, 256 (4, 13, 15, 18 settembre 1853) 313, 315 (15, 17 novembre 1853)


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