Gli anni Cinquanta sono forieri di grossi cambiamenti che renderanno la professione più praticabile e meno invalidante, in quanto ben pochi dagherrotipisti sono consapevoli degli effetti velenosi e devastanti per l'organismo prodotti dalle esalazioni dei vapori di mercurio che doveva essere riscaldato a 60° per sviluppare le lastre di rame argentate.
La diffusione dei calotipi (detti anche talbotipi dal loro inventore l'ingleseWilliam Henry Fox Talbot brevetto del 1841, immagini riportate sulla carta per azione della luce) si deve alla possibilità di poter avere più copie da uno stesso negativo (anche se con dettagli sfocati dovuti alla rugosità della carta, rispetto ai nitidi e precisi unici dagherrotipi), ma dal 1852 il procedimento del collodio umido rende la fotografia una tecnica facile, il negativo su vetro da cui si possono trarre positivi su carta albuminata moltiplicabili a piacere permette un livello di dettagli notevoli e una migliore qualità tonale.
Dal 1850 gli avvisi pubblicitari fanno aumentare il numero delle pagine dei periodici.
Non c'è bisogno che il nome del fotografo compaia a grandi caratteri.
Sono sufficienti tutte le garanzie proposte dall'avviso. Già l'esordio "nuovo metodo americano" suona attraente ancora oggi. Inoltre la colorazione offre una personalizzazione da non perdere, di solito è affidata al pennello di una donna.
Anche le varie possibilità di riproduzione sono interessanti: immagini di quadri, incisioni, litografie. Infine l'esperto professionista è disposto a dare lezioni, ne bastano 8 per imparare l'arte.
Ferdinando Ramann troverà a Trieste un solida collocazione, ma non è ancora giunto il momento.
Su: Il diavoletto, n. 206 (27 luglio 1850) e ripetuto il 29 luglio e 2 agosto